
Ogni anno, alla fine dell’anno, vado a Milano con mia madre. L’idea è quella di acquistare gli ultimi regali, la pratica è quella di farsi un giro, vedere vetrine impossibili (e farne delle storie su Instargram, almeno per me) e tornare a casa a mani vuote perchè tanto abbiamo già trovato tutto su Amazon o in libreria.
Ogni anno, alla fine dell’anno, arriviamo a un punto in cui, dopo ore di camminata, non ce la facciamo più. E non è per il vento freddo che, puntuale come il Natale (ma un po’ più reale) si presenta nel tentativo di mettere in difficoltà i passanti.
Non è nemmeno per il caos (non vai a Milano a dicembre se non ti porti da casa una sana dose di pazienza e lasci la misantropia nel baule dell’auto). Non è per nulla di tutto questo. È la pipì.
Dopo il primo, il secondo e il terzo caffè, dopo la tisana per combattere il freddo, dopo la centrifuga per combattere la tisana, la pipì incombe come la Spada di Damocle che speravi di poter evitare.
E ci si pensa quando inizia ad essere troppo tardi, quando sei in mezzo a mille negozi, ma sei nel quartiere che è il Bronx dei bar. Sempre, ricorsivamente, ogni anno.
Anche quest’anno siamo andate a Milano, ma, memori delle scorse esperienze, ci siamo andate scortate delle migliori intenzioni: faremo pipì già dal secondo caffè, e come ogni anno, ce ne siamo dimenticate.
Arrivate nel Bronx dei bar, ci siamo guardate negli occhi e, se è vero che uno sguardo vale più di mille parole, abbiamo capito che entrambe, silenti, stavamo scoppiando da un bel po’, ma che ce ne eravamo rese conto tardi.
Camminando di fretta, ignorando ogni vetrina, ogni colore, ogni sconto, salto, offerta, regalo, abbiamo iniziato a cerare un luogo dove bere un caffè e, finalmente, fare pipì.
Niente. Non riuscivamo a trovare niente.
Ad on certo punto, il miraggio: una gelateria che fa anche estratti di frutta. È molto piccola, quasi all’aperto; ha quattro o cinque tavoli, di cui due vuoti. Ci avviciniamo al bancone, il barista ci chiede cosa volessimo bere, quasi volesse schernire involontariamente la nostra sofferenza, e mia mamma, con la faccia tosta del post 50 anni, con il tono della contrattazione che solo in un mercato tunisino ho visto nella mia vita, gli risponde “Prima di ordinare le devo chiedere se ha un bagno, altrimenti non se ne fa nulla”.
L’uomo ci guarda, poi volge lo sguardo verso il fondo del bar, dove una donna, in pausa dalla produzione di estratti fa un cenno con la testa, ci sorride e conduce mia mamma verso la salvezza. La attendo mentre ordino liquidi colorati fruttosi sicuramente buoni, ma in quel momento per me violenti.
Mia mamma torna dopo pochi minuti, è arrivato il mio momento. Il bagno è uno sgabuzzino fuori dal locale, all’interno di un cortile. E’ piccolo e sporco, senza finestre né sapone per lavarsi le mani. Ma la mia impressione è stata che non avevo mai visto nulla di più bello in vita mia.
Quel bagno, così quasi bianco, quasi luminoso e quasi pulito, ma così interamente bagno, era per me la perfezione.
Paragrafando un po’ quelle che sono le regole del marketing, mai come in questa situazione, mentre finalmente facevo pipì (e sappiamo essere sempre un momento di gradi rivelazioni sui massimi sistemi della vita), ho compreso quanto sia importante il principio dell’urgenza.
Oltre a questo, impossibile discernere un altro grande fondamento del marketing: il principio di scarsità di cui Robert Cialdini parla, ovvero quel principio atto a indicare che le opportunità ci appaiono decisamente più desiderabili quando la loro disponibilità è limitata.
Quanto varia la nostra percezione di un bene o servizio (e più servizio di così…) quando ne abbiamo realmente bisogno e non ne troviamo in grande quantità?
Mi spiego meglio: se avessi avuto mille bagni e un’esigenza non troppo alta di fare pipì, sicuramente non sarei mai andata in quel locale. Non avrei mai scelto un luogo che, per quanto faccia estratti buonissimi, ha un bagno le cui condizioni solo le stesse che ho visto in India anni fa.
La mia User experience, insomma, in altre condizioni sarebbe stata negativa. In questo caso invece, è stata la cosa più bella che abbia mai visto, almeno per i primi 10 minuti.
Quando lancio un prodotto, nella speranza che non sia un cesso come quello descritto ora, quanto influiscono urgenza e scarsità? Quanto conta produrre qualcosa che ancora non esiste e crearne un bisogno indotto?
Quanto fanno presa gli allarmi lampeggianti di Booking che segnalano che la stanza che stai guardando, si proprio quella, è sott’occhio da altre 50 persone e che probabilmente tra un minuto non ci sarà più?